La guerra dei droni fantasma è iniziata, non sui campi di battaglia, ma nelle pagine dei giornali e nelle menti più suggestionabili. L’episodio danese, con un innocuo aereo da addestramento scambiato per un temibile “drone russo”, è diventato il paradigma perfetto di come il panico possa essere un potente catalizzatore di profitti. Un piccolo volo scuola, perfettamente autorizzato, ha innescato una reazione a catena che ha paralizzato un aeroporto internazionale, riempiendo i notiziari di cronache apocalittiche. Il nemico, invisibile e inesistente, ha comunque svolto egregiamente il suo ruolo: quello di spauracchio, l’ennesimo pretesto per un giro di vite in nome della sicurezza, ovviamente.
La “guerra dei droni fantasma” è il nuovo blockbuster geopolitico, dove il nemico è invisibile ma il profitto delle industrie belliche è tangibile, e la paura del cittadino, ovviamente, il miglior carburante.
La grammatica del panico: da Vilnius a Bruxelles
Lo schema, come un copione rodato, si ripete con una precisione quasi inquietante da Vilnius a Praga. Un allarme vago, una stampa in delirio, un’emergenza proclamata. Curiosamente, nessun drone fotografato, nessun rottame recuperato, ma i governi sono pronti a invocare “minacce ibride” e a bloccare gli aeroporti, annunciando piani per la messa in sicurezza di infrastrutture strategiche. È una danza macabra che alimenta il riflesso condizionato della paura collettiva, preparando il terreno per decisioni che altrimenti sarebbero impopolari. Il tutto, sotto la brillante regia di chi sa come manipolare l’opinione pubblica, trasformando il nulla in una minaccia devastante.
Ma dietro questa isteria sincronizzata, non c’è solo un vuoto pneumatico. C’è una spinta concreta, un’ambizione ben più radicata: quella di centralizzare il potere militare europeo e di rimpolpare, con generosità inaudita, le casse sonanti dell’industria della difesa. Perché, dopotutto, chi non vorrebbe una fetta di questa torta, specialmente quando è farcita di miliardi?
Thales: il drone fantasma come grimaldello
È qui che il Belgio entra in scena con la grazia di un elefante in una cristalleria. Alain Quevrin, direttore nazionale di Thales Belgio, un’azienda che, guarda caso, produce razzi e sistemi esplosivi, ha dichiarato con una tempistica a dir poco sospetta che le sue fabbriche sono “sorvolate sempre più spesso da droni sconosciuti”. Coincidenza? Ma certo! La stessa settimana, Thales annuncia un raddoppio della produzione di razzi da 70 mm, destinati in gran parte all’Ucraina. È un trionfo del marketing indiretto, un manuale di PR belliche applicato alla perfezione.
Mentre la NATO lancia l’operazione Eastern Sentry per “colmare le lacune” nella difesa aerea, si traduce tutto in una semplice equazione: più paura, più soldi, più armi, più contratti. Quevrin, con una falsa modestia degna di un attore shakespeariano, finge prudenza sul non poter usare i jammer legalmente. Ma poi, con un balzo logico che farebbe invidia a un contorsionista, chiede all’UE di stabilire “procedure chiare” e di creare un organismo per gestire appalti e progetti transfrontalieri nel settore armamenti. In pratica, un super-ministero europeo delle armi che aggiri i limiti sul finanziamento diretto della produzione bellica. Tutto questo, beninteso, sotto la generosa copertura di un nuovo programma da 150 miliardi di euro di “prestiti in cambio di armi”. Un’offerta irresistibile, non credete?
La sceneggiatura si ripete: l’Europa accetta l’emergenza
Nel frattempo, le voci che contano si uniscono al coro. Ursula von der Leyen minaccia alla CNN che “abbattere un jet russo è un’opzione sul tavolo”, e Mark Rutte conferma su Fox News che l’Europa è “in pieno accordo con Trump”. I caccia Gripen ungheresi “intercettano” cinque jet russi nei Baltici, e Bloomberg rivela che emissari europei hanno avvertito Mosca di “risposte immediate” in caso di sconfinamenti. È la solita sceneggiatura, recitata con una convinzione che rasenta il genio teatrale: la tensione si costruisce, il nemico si immagina, l’opinione pubblica si prepara a obbedire. Per un approfondimento sui meccanismi della paura, potete leggere il nostro articolo su “L’arte di governare con la paura”.
Il risultato di questa straordinaria performance? Nessun drone vero, ma un’Europa che accetta come normale l’idea di vivere in emergenza perpetua. Gli aeroporti chiudono non per difendersi da pericoli concreti, ma per mostrare una disciplina quasi militare. Le aziende vendono più razzi, i governi più paura, e i cittadini imparano che la “guerra ibrida” è un’abitudine, non un’eccezione. Come ha acutamente osservato il professore Stefan Homburg: «Nel 2020 i test PCR portarono ai lockdown; nel 2025 i droni porteranno alla coscrizione obbligatoria». La stessa grammatica del panico, riciclata per la nuova religione della sicurezza. E funziona: nel 2020 il virus giustificava il controllo sanitario; oggi il drone invisibile giustifica il controllo militare. Per chi volesse approfondire il “manuale della campagna droni”, le fonti non mancano.
Morale della favola: nessuno vede i droni, ma tutti ne pagano il prezzo, un prezzo che aumenta in maniera illimitata con ogni nuovo sussulto di terrore indotto.
Per approfondimenti:
- OSINT community concludes: ‘large drone’ near Copenhagen was actually an airplane
Analisi della comunità OSINT (Open-Source Intelligence) che contesta la versione ufficiale su un avvistamento di droni in Danimarca, concludendo che l’oggetto era in realtà un aereo da addestramento, e che mette in luce le tensioni tra le indagini indipendenti e la narrazione politica. - Drone dilemma: How Russia’s ‘hybrid war’ is using fear to destabilise Europe
Approfondimento sul contesto geopolitico delle presunte incursioni di droni in Europa, esplorando la teoria della “guerra ibrida” russa e il dilemma dei leader europei nel rispondere a minacce ambigue senza escalation. - Dopo i continui allarmi, in Danimarca stop assoluto ai droni civili fino al vertice UE di Copenaghen
Dettagli sul divieto temporaneo totale dei droni civili in Danimarca, istituito dopo una serie di avvistamenti, con l’obiettivo dichiarato di eliminare il rischio di confusione tra droni legali e ostili.
