venerdì, 20 Giugno 2025
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Il volto oscuro dell’interventismo

Una disamina critica del ricorrente schema geopolitico occidentale che sfrutta la retorica dei diritti umani per giustificare un interventismo aggressivo. Dalle guerre in Iraq e Afghanistan alla destabilizzazione della Libia, emerge un modello predatorio che, dietro la promessa di libertà, nasconde la volontà di smantellare nazioni sovrane e imporre un ordine funzionale ai propri interessi.

La Persistente Fallacia dell’Interventismo Umanitario

L’attuale congiuntura mediatica palesa un rinnovato e pernicioso interesse per l’interventismo, mascherato da sollecitudine umanitaria. Si assiste al consueto archetipo narrativo: la ribalta viene offerta a dissidenti e fuoriusciti da nazioni designate come ostili, i quali, supportati logisticamente ed economicamente, diventano gli altoparlanti di una narrazione preconfezionata. Tale strategia, lungi dall’essere estemporanea, segue un canovaccio collaudato, volto a demonizzare il paese bersaglio. Questo processo mira a preparare il terreno nell’opinione pubblica, rendendola permeabile a giustificare azioni ostili, fomentate da sanzioni economiche che esasperano il disagio interno e accrescono il numero dei malcontenti, creando un circolo vizioso funzionale al regime change.

Il Calcolo Geopolitico dietro l’Interventismo Selettivo

Appare quantomeno sospetta la natura selettiva con cui l’indignazione per la violazione dei diritti umani si manifesta. L’attenzione si accende quasi esclusivamente quando la nazione oggetto di scrutinio possiede ingenti risorse naturali o una posizione geostrategica ambita, e si dimostra restia a cederne il controllo. L’imperativo morale diviene allora un comodo paravento per celare bramosie predatorie. La liberazione di “categorie deboli” si trasforma in un pretesto nobile per perseguire obiettivi tutt’altro che filantropici. Si configura così un’ipocrisia sistemica, dove il cuore dell’informazione pulsa a intermittenza, sincronizzato non con la sofferenza umana, ma con l’opportunità di espandere la propria sfera d’influenza.

Le Nefaste Eredità dell’Interventismo Militare

La storia recente offre un campionario desolante degli esiti di tale interventismo. Le missioni per “esportare la democrazia” in nazioni come l’Afghanistan, l’Iraq o la Libia hanno lasciato un retaggio di morte, devastazione e instabilità cronica, generando ecatombi e dissolvendo interi apparati statali. L’idea che un’aggressione militare, con bombardamenti indiscriminati su infrastrutture civili e militari, possa essere ammantata di una valenza civilizzatrice è una costruzione intellettuale tanto folle quanto persistente. Il risultato tangibile non è mai la libertà promessa agli esuli, ma la frammentazione di società complesse e la loro sostituzione con governi fantoccio, funzionali unicamente a interessi esterni.

Una scena surreale dove un gruppo caotico e colorato impone con la forza i propri valori a una famiglia austera e in bianco e nero, rappresentando l'esportazione forzata della cultura.
Metafora visiva dell’esportazione culturale forzata, presentata come un dono ma vissuta come un’aggressione.

Per approfondimenti:

  1. Cosa non si fa per amore della libertà
    Analisi critica di Andrea Zhok sulla strumentalizzazione dei dissidenti iraniani da parte dei media occidentali, con parallelismi storici sulle “esportazioni di democrazia” fallite (Afghanistan, Iraq, Libia) e sul ruolo dei media nel costruire narrative giustificative per interventi militari.
  2. Libertà di stampa, l’Italia scende al 58° posto nella classifica mondiale
    Report di Reporter senza frontiere (2022) sul deterioramento della libertà di stampa in Italia, con focus su autocensura, pressioni legali, dipendenza economica dei media e interferenze politiche, utile per contestualizzare le critiche al giornalismo italiano .
  3. Cecilia Sala è ostaggio della lotta di potere tra le fazioni del regime iraniano
    Approfondimento sul caso della giornalista italiana arrestata a Teheran come “ostaggio diplomatico”, rivelatore delle dinamiche interne al regime iraniano e del cinismo geopolitico nella gestione dei dissidenti .
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