Il periglioso bivio del riarmo continentale
L’attuale congiuntura geopolitica impone una severa riflessione sulla postura strategica del Vecchio Continente, il cui affannoso processo di riarmo si palesa irto di ostacoli e contraddizioni sistemiche. Mentre Mosca, nonostante un apparato economico formalmente isolato e gravato da un profluvio di sanzioni, riceve un inaspettato avallo dall’agenzia di rating cinese CCXI, l’Europa si dibatte in un’abulia industriale e strategica che ne mina le fondamenta. L’economia russa, riconfigurata in un’ottica bellica e sostenuta da energia a basso costo e filiere produttive statalizzate, dimostra una resilienza che le permette di produrre armamenti a un ritmo e a costi inimmaginabili per le controparti occidentali. Questa radicale divergenza di approccio e capacità costituisce il cuore di una crisi che non è solo militare, ma anzitutto strutturale, gettando un’ombra sinistra sulla futura autonomia e sicurezza europea. La chiamata alle armi dell’industria da parte dei vertici comunitari si scontra con una realtà desolante, fatta di costi esorbitanti e di una base produttiva erosa da decenni di deindustrializzazione e dipendenza energetica.
La vertiginosa asimmetria dei costi del riarmo
Una disamina dei costi comparati degli armamenti rivela una voragine difficilmente colmabile. Il prezzo di un singolo carro armato Leopard 2A8 di fabbricazione tedesca è stato stimato essere equivalente a quello di sette T-90 russi, e un obice semovente Panzerhaubitze 2000 costa quanto dodici unità MSTA-S di Mosca. Questa sperequazione economica non è un mero dettaglio contabile, ma un fattore strategico esiziale. L’Europa, già gravata da costi energetici triplicati che hanno inferto un colpo mortale a settori chiave come quello siderurgico, si trova a dover finanziare il proprio riarmo pagando un premium insostenibile. L’invio di munizioni a Kiev si traduce in un’emorragia di miliardi di euro per forniture che l’industria continentale fatica a produrre con la celerità e i volumi richiesti dal conflitto. Nel frattempo, le aziende della difesa occidentali, orientate a una logica di mercato, massimizzano i profitti e distribuiscono lauti dividendi ai propri azionisti, mentre le loro omologhe russe, pur operando quasi in perdita, sfornano incessantemente i mezzi necessari a sostenere lo sforzo bellico. Si delinea così una dicotomia fondamentale: da un lato un’economia di guerra, dall’altro un’economia di finanza.
L’inadeguatezza tecnologica e l’affanno del riarmo tedesco
Un’analisi interna della Bundeswehr, l’esercito tedesco, ha gettato luce sulle gravi carenze qualitative dei mezzi inviati sul campo di battaglia ucraino. Molti dei sistemi d’arma di punta, orgoglio dell’ingegneria teutonica, si sono rivelati inadatti alle asperità di un conflitto ad alta intensità. I sofisticati e costosissimi sistemi di difesa aerea IRIS-T e Patriot, ad esempio, sono risultati eccessivamente onerosi o parzialmente obsoleti, mentre i carri armati Leopard 1 sono stati declassati a un ruolo di artiglieria di fortuna. I mezzi che hanno raccolto maggiori elogi per la loro robustezza e affidabilità, come il semovente antiaereo Gepard e il veicolo da combattimento della fanteria Marder, sono paradossalmente sistemi ormai radiati dagli arsenali tedeschi. Questa evidenza impietosa solleva interrogativi sulla reale efficacia della spesa militare europea e sulla capacità dei complessi industriali-militari di fornire equipaggiamenti non solo tecnologicamente avanzati, ma anche funzionali, manutenibili e producibili in massa. L’inerzia europea è aggravata dalla carenza di manodopera specializzata e da una logistica complessa e dispendiosa, che rende ogni riparazione un’impresa titanica.
Un riarmo tra sanzioni inefficaci e logiche divergenti
Il paradosso della strategia occidentale emerge con chiarezza nelle politiche sanzionatorie. Mentre il G7 si appresta a varare un nuovo tetto al prezzo del petrolio russo e il Parlamento Europeo impone dazi su fertilizzanti e prodotti agricoli, ignorando le rimostranze dei propri agricoltori, la Russia non solo aggira le restrizioni ma pianifica persino di riattivare infrastrutture energetiche strategiche come il gasdotto Nord Stream. L’Europa continua a pagare l’energia a un prezzo esorbitante, finanziando indirettamente economie terze e minando la propria competitività. Queste misure punitive si rivelano un’arma spuntata di fronte a un avversario che ha riconvertito la propria struttura economica in funzione di un unico obiettivo: la guerra. La logica finanziaria che governa le democrazie liberali si scontra con la logica della forza bruta di un’autocrazia mobilitata. In questo scenario, il concetto di pace appare archiviato, sacrificato sull’altare di un riarmo che, allo stato attuale, sembra più un’illusione dispendiosa che una garanzia di sicurezza credibile.

Per approfondimenti:
- ISPI – La guerra in Ucraina e l’economia russa: un bilancio
Analisi dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale sull’impatto delle sanzioni e l’adattamento dell’economia russa dopo l’invasione dell’Ucraina, con focus sulla produzione militare e le riserve finanziarie. - IAI – Il riarmo europeo dopo l’invasione russa dell’Ucraina
Studio dell’Istituto Affari Internazionali sulle sfide del riarmo europeo, dai costi alle catene di approvvigionamento, nel contesto del conflitto ucraino. - RAND Corporation – The High Cost of Europe’s Energy Crisis
Report sulla crisi energetica europea post-invasione, con comparazione dei costi industriali e strategici tra UE e Russia. - United24 – China warns Russia’s Ukraine war spending could empty reserves
Articolo sul rating cinese CCXI e gli avvertimenti circa il rischio default russo legato alla spesa militare prolungata in Ucraina.