mercoledì, 3 Settembre 2025
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Giù la Maschera del 12.08.2025

La rassegna stampa satirica che non fa sconti. Analizziamo le notizie del giorno, dal vertice Trump-Putin alle polemiche di Vannacci, dall'inflazione galoppante al matrimonio di Ronaldo. Un antidoto quotidiano alle recite della politica e dei media, per chi cerca una prospettiva caustica e senza filtri sulla realtà.

POLITICA INTERNA

Vannacci e la scoperta del “razzismo al contrario”: un’illuminazione che vale un oro (non suo)

In un impeto di acume sociologico che ha lasciato di stucco i più grandi pensatori del nostro tempo, l’eurodeputato Roberto Vannacci ha offerto al mondo la sua ultima, profonda riflessione. Commentando la vittoria nel salto triplo di Erika Saraceni, ha denunciato una congiura del silenzio mediatico, attribuendola a un terribile peccato originale dell’atleta: non essere “nera, islamica, arrivata col barcone o diversamente eterosessuale”. Secondo il generale, questa sarebbe la prova provata di un “razzismo al contrario”, un fenomeno subdolo per cui i media, controllati dalla sinistra, ignorerebbero i successi degli italiani “normali” per celebrare solo chi rientra in “bislacchi canoni di finto progressismo”.

La tesi, esposta con la consueta eleganza su Facebook, è tanto semplice quanto geniale: se una notizia non finisce in prima pagina, non è per scelte editoriali, priorità o magari per il fatto che l’atletica leggera riceve attenzioni cicliche, ma perché la protagonista è bianca, cristiana ed eterosessuale. Una logica ferrea che ignora, per esempio, l’oro vinto nella stessa giornata dalla quindicenne Kelly Doualla, di origini camerunensi, che invece ha ricevuto ampia copertura. Questo piccolo dettaglio non scalfisce la granitica certezza di Vannacci, che usa la retorica della vittimizzazione per parlare a quella pancia del Paese convinta di essere discriminata in casa propria. È la politica come sport estremo, dove la realtà è un optional e la medaglia più ambita è quella della polemica a tutti i costi.

Fonti: Virgilio Notizie, Open, Quotidiano.net

La grande emorragia della CGIL: 45.000 tessere stracciate e un Landini sempre più politico (suo malgrado)

C’è aria di smobilitazione in casa CGIL. Negli ultimi dieci mesi, ben 45.000 iscritti hanno deciso che la loro tessera era più utile per accendere il fuoco che per difendere i propri diritti, presentando disdetta. Un’emorragia costante, con una media di 5.000 addii al mese, che segnala un malessere profondo e diffuso in tutte le regioni d’Italia. La leadership di Maurizio Landini, sempre più impegnata in battaglie politiche dal sapore referendario e meno in quelle sindacali concrete, sembra aver perso il contatto con una base che, evidentemente, si sente poco rappresentata.

Le cause sono molteplici e complesse. Da un lato, c’è l’azione di sigle “scissioniste” come la Cgl (Come Gestire i Licenziamenti), fondata da ex dirigenti espulsi e poi riabilitati dalla magistratura, che intercettano lo scontento. Dall’altro, una gestione che appare più concentrata a fare da stampella a un’opposizione politica afona che a strappare contratti dignitosi. Mentre il segretario generale nega ogni ambizione politica personale, sognando la pensione, i suoi predecessori (da Cofferati a Camusso) hanno tracciato un percorso ben definito dal sindacato al Parlamento. Il sospetto è che Landini stia facendo lo stesso, ma con meno successo e con un sindacato che, nel frattempo, si svuota.

Fonti: Virgilio Notizie, EduNews24

Il Ministro Schillaci e le nomine No-Vax: quando la prevenzione è affidata ai suoi detrattori

Con una mossa che ridefinisce il concetto di “guardia del pollaio”, il Ministro della Salute Orazio Schillaci ha nominato nel nuovo NITAG (il comitato tecnico nazionale per le vaccinazioni) due figure note per le loro posizioni critiche, per usare un eufemismo, nei confronti delle campagne vaccinali. La decisione ha immediatamente scatenato un putiferio, con le opposizioni e la comunità scientifica che accusano il ministro di “grave irresponsabilità” e di voler “annientare la credibilità delle istituzioni”.

Le nomine sono state definite un atto di “obbedienza politica” e un modo per strizzare l’occhio a quella frangia dell’elettorato No-Vax che il governo non vuole scontentare. Figure come Beatrice Lorenzin e Nino Cartabellotta della Fondazione Gimbe hanno parlato di una scelta che “svilisce la scienza” e “legittima la disinformazione”, usando la sanità pubblica come terreno per battaglie ideologiche. Il messaggio che passa è inquietante: dopo anni passati a combattere le fake news e a promuovere la prevenzione come unica arma contro le pandemie, si affida la strategia vaccinale nazionale a chi, in passato, ha espresso dubbi e perplessità. Una scelta che, più che grottesca, appare come un pericoloso passo indietro per la salute pubblica del Paese.

Fonti: Quotidiano Sanità, Virgilio Notizie

La Lega e la minaccia del burkini: la sottomissione della donna si combatte in spiaggia, non altrove

L’estate italiana, tra un’ondata di calore e un incendio, trova sempre il tempo per le sue piccole, grandi battaglie di civiltà. L’ultima si è consumata a Marina di Carrara, dove una sfilata durante il Teranga Festival ha osato mostrare in passerella dei burkini. Apriti cielo. L’europarlamentare leghista Susanna Ceccardi e il segretario provinciale Andrea Tosi sono insorti, definendo l’indumento un “simbolo di sottomissione” e la sfilata una “passerella fuori luogo”. Secondo il Carroccio, il burkini non è moda, ma “il manifesto di un’idea di società in cui la donna è nascosta e subordinata”.

Gli organizzatori hanno timidamente provato a spiegare che l’evento promuoveva libertà e integrazione, e che l’indumento è una scelta per molte donne musulmane che vogliono conciliare fede e vita da spiaggia, oltre a essere usato anche per motivi di salute. Ma la logica leghista è impermeabile a tali sottigliezze. La difesa dei “valori occidentali” e della “libertà della donna” si combatte così, sulle spiagge, contro un pezzo di stoffa, ignorando magari le disparità salariali, la violenza di genere o la carenza di servizi che rendono la vita delle donne, di tutte le donne, molto più difficile di un tuffo in mare. È più facile prendersela con un costume che con il patriarcato, soprattutto quando quest’ultimo porta voti.

Fonti: Virgilio Notizie, Agenparl, Open

Adro, la damnatio memoriae di Gianfranco Miglio: la cultura si fa e si disfa a colpi di maggioranza

Ad Adro, in Franciacorta, la politica culturale ha raggiunto vette di concretezza inaudite: a 24 anni esatti dalla sua morte, il nome di Gianfranco Miglio, politologo e ideologo della prima Lega, è stato fisicamente rimosso dalla facciata del polo scolastico locale. Con tanto di operai e carrello elevatore, la nuova amministrazione di centrosinistra ha cancellato un’intitolazione voluta 15 anni fa da una giunta leghista, giustificando il gesto con la necessità di eliminare una scelta “fuorviante” e “non condivisa”.

La reazione della Lega non si è fatta attendere: un coro di indignazione da Salvini in giù ha gridato alla “censura”, alla “cancel culture” e allo “sfregio” contro un “grande comasco”. La vicenda, che riaccende una polemica vecchia di decenni (la scuola fu inizialmente decorata con centinaia di “Soli delle Alpi”, poi rimossi), è l’emblema di un’Italia dove la memoria storica e l’identità culturale non sono un patrimonio condiviso, ma un trofeo da esibire o un’onta da cancellare a seconda di chi vince le elezioni. Invece di costruire ponti, si smantellano targhe, in una perenne e sterile guerra di simboli che lascia il paese culturalmente più povero e politicamente più diviso.

Fonti: Virgilio Notizie, La Provincia di Como, Il Giorno, Giornale di Brescia

POLITICA ESTERA

Il vertice dei padroni in Alaska: Trump e Putin si spartiscono l’Ucraina mentre Zelensky guarda da casa

Il 15 agosto, nel suggestivo e neutrale scenario dell’Alaska, si terrà un incontro che puzza di Yalta in saldo. Donald Trump e Vladimir Putin si siederanno a un tavolo per decidere le sorti della guerra in Ucraina. L’invitato d’onore, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, non sarà presente. A quanto pare, la sua opinione non è richiesta nel processo decisionale che riguarda il suo stesso Paese. Trump, con la magnanimità che lo contraddistingue, ha fatto sapere che si parlerà di uno “scambio di territori”, un modo elegante per dire che l’Ucraina dovrà cedere pezzi della sua sovranità in cambio di una pace dettata da altri.

La diplomazia dell’inviato americano Steve Witkoff ha lavorato alacremente per questo capolavoro di realpolitik, dove le richieste di Mosca (cessione di Donbass, Zaporizhzhia, Kherson e Crimea) sono la base di partenza. Zelensky, da parte sua, ha ribadito che “qualsiasi decisione presa senza l’Ucraina, sarebbe una decisione contro la pace”. Nel frattempo, gli alleati europei e americani si sono riuniti in fretta e furia nel Regno Unito per cercare di definire una posizione comune, un tentativo disperato di non apparire come semplici spettatori mentre i due “grandi” ridisegnano la mappa dell’Europa. La pace, a quanto pare, non è un processo di giustizia, ma una transazione immobiliare tra superpotenze.

Fonti: Vatican News, Rai News

Gaza, quando i giornalisti diventano “terroristi”: la licenza di uccidere in diretta

Nella Striscia di Gaza, la linea che separa un giornalista da un bersaglio militare è diventata invisibile. Cinque reporter dell’emittente Al Jazeera sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano contro una tenda che ospitava la stampa fuori dall’ospedale al-Shifa. Tra le vittime c’è Anas al-Sharif, 28 anni, un volto noto che raccontava il conflitto quotidianamente. La risposta dell’esercito israeliano è stata agghiacciante nella sua semplicità: al-Sharif non era un giornalista, ma un “terrorista di Hamas che si spacciava per giornalista”.

Questa rietichettatura post-mortem è diventata una pratica standard per giustificare l’uccisione di operatori dell’informazione. L’Unione Europea e le organizzazioni internazionali hanno chiesto a Israele di “fare chiarezza” e fornire “prove chiare”, ma queste richieste suonano ormai come un disco rotto. Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha definito gli attacchi “inaccettabili”, mentre il premier israeliano Netanyahu prosegue con la sua linea, affermando che l’obiettivo non è l’occupazione ma l’eradicazione di Hamas, anche a costo di trasformare chiunque in un potenziale nemico. In questa logica, una telecamera può essere pericolosa quanto un fucile, e chi la impugna merita lo stesso destino.

Fonti: Adnkronos, Sky TG24, Internazionale

Colombia, l’assassinio del senatore Uribe: la democrazia sotto il fuoco dei narcos (e non solo)

Dopo due mesi di agonia, il senatore e candidato alla presidenza colombiano Miguel Uribe Turbay è morto. Aveva 39 anni e non si è mai ripreso dalle ferite riportate nell’attentato subito a giugno durante un comizio a Bogotà, quando un quindicenne gli sparò alla testa e a una gamba. La sua morte ha scosso un Paese abituato alla violenza politica, ma non per questo rassegnato. L’incidente ha riacceso i timori per la stabilità della democrazia colombiana, stretta nella morsa di narcos, gruppi armati e interessi oscuri.

Le indagini hanno portato all’arresto di sette persone, ma i mandanti restano nell’ombra. La storia personale di Uribe è un tragico spaccato della storia colombiana: sua madre, la giornalista Diana Turbay, fu sequestrata e uccisa nel 1991 dagli uomini di Pablo Escobar. Oggi, a decenni di distanza, la politica in Colombia rimane un mestiere ad altissimo rischio. I messaggi di cordoglio, dall’ex presidente Alvaro Uribe al Segretario di Stato americano, suonano come un impotente epitaffio per un’altra promessa spezzata dalla violenza, in un ciclo che sembra non avere mai fine.

Fonti: Vatican News, Rai News, Sky TG24

L’estate di fuoco europea: mentre il continente brucia, la politica si occupa d’altro

L’Europa sta letteralmente andando a fuoco. Vasti incendi boschivi stanno devastando intere regioni del continente, dalla Croazia al Montenegro, fino alla Spagna, dove ondate di calore estremo e venti forti hanno generato persino dei “tornadi di fuoco”. Migliaia di persone sono state evacuate, ettari di vegetazione sono andati in fumo e le immagini dei cieli rossi e delle fiamme che minacciano le case sono diventate la cartolina di un’estate apocalittica. È la cronaca di un disastro annunciato, l’ennesima prova tangibile di una crisi climatica che non è più una minaccia futura, ma una realtà presente e devastante.

Eppure, sfogliando le agende politiche, questa emergenza sembra avere un ruolo marginale. Mentre i vigili del fuoco combattono una battaglia impari contro le fiamme, il dibattito pubblico si concentra su vertici geopolitici, polemiche sul costume da bagno e faide tra musicisti in pensione. La dissonanza cognitiva è totale: da un lato un pianeta che invia segnali di allarme inequivocabili, dall’altro una classe dirigente e un’opinione pubblica che sembrano incapaci di affrontare la minaccia più grande di tutte. Si continua a discutere dell’arredamento mentre la casa brucia, in attesa che la pioggia, o un miracolo, spenga l’incendio.

Fonti: Sky TG24, Eumetsat

Operazione “Capitale Pulita”: Trump schiera la Guardia Nazionale per una lavata di capo (e di strade)

Donald Trump ha deciso che Washington D.C. ha bisogno di una bella ripulita, e per farlo non ha chiamato un’impresa di pulizie, ma la Guardia Nazionale. Con un ordine esecutivo, il Presidente ha schierato 800 militari per salvare la capitale “da crimine e squallore” e ristabilire “legge e ordine”. La motivazione ufficiale è che la città è stata “invasa da bande violente e criminali assetati di sangue”, una descrizione che sembra presa da un film d’azione di serie B più che da un’analisi di sicurezza nazionale.

La mossa è un potente atto di propaganda, un modo per mostrare i muscoli e proiettare l’immagine di un uomo forte che non esita a usare l’esercito per risolvere problemi sociali. Invece di affrontare le cause profonde della criminalità e del degrado urbano – povertà, disuguaglianze, mancanza di servizi – si sceglie la scorciatoia marziale. È la spettacolarizzazione della sicurezza, dove la presenza di soldati per le strade diventa il simbolo di un ordine ritrovato, anche se fittizio. Una soluzione che non risolve nulla, ma che funziona benissimo in campagna elettorale.

Fonti: Il Fatto Quotidiano, Sky TG24

FINANZA ED ECONOMIA

L’accordo sui chip USA-Cina: il libero mercato diventa un pizzo di Stato

In una magistrale dimostrazione di capitalismo all’americana, il governo degli Stati Uniti ha trovato un modo creativo per gestire la concorrenza tecnologica con la Cina. Invece di vietare del tutto le vendite di chip di intelligenza artificiale, ha raggiunto un accordo con Nvidia e AMD: le aziende potranno continuare a esportare verso Pechino, ma dovranno versare al governo federale il 15% dei loro ricavi generati in Cina. In pratica, una tangente legalizzata, un pizzo di Stato mascherato da accordo commerciale.

Questa mossa inedita, confermata da Trump in persona, rappresenta una forma di protezionismo 2.0. Non si mettono più solo barriere doganali, si partecipa direttamente agli utili del “nemico”. È la fine della favola del libero mercato, che vale solo finché a vincere sono gli americani. Quando la competizione si fa dura, lo Stato non si fa scrupoli a intervenire, non come regolatore, ma come socio occulto che pretende la sua fetta. Un modello di “capitalismo di stato con caratteristiche americane”, come lo ha definito il Wall Street Journal, che trasforma la geopolitica in un’operazione di racket su scala globale.

Fonti: The Wall Street Journal (via Borsa Italiana), Sky TG24

Dazi USA-Cina, la tregua dei 90 giorni: il tempo necessario per affilare le armi

Con un gesto che potrebbe essere interpretato come magnanimo solo da un ingenuo, Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che estende di 90 giorni la tregua tariffaria con la Cina, rinviando l’entrata in vigore di nuovi dazi fino al 9 novembre. Le tariffe, che sarebbero dovute scattare alla mezzanotte, avrebbero portato le aliquote su molti prodotti cinesi a livelli proibitivi. Ufficialmente, questo tempo extra serve per “continuare a negoziare con Pechino”, magari in vista di un incontro con Xi Jinping.

In realtà, questa tregua assomiglia più a una pausa tattica in una guerra economica che non si è mai fermata. È il tempo necessario a entrambe le parti per studiare le prossime mosse, valutare i danni e preparare nuove offensive. Mentre la diplomazia parla di “dialogo costruttivo”, le aziende corrono ai ripari e i mercati restano con il fiato sospeso. Trump, nel frattempo, non perde occasione per usare i social e chiedere alla Cina di comprare più soia americana per ridurre il deficit commerciale. La pace commerciale non è all’orizzonte; è solo un cessate il fuoco temporaneo, in attesa della prossima, inevitabile, cannonata.

Fonti: Rai News, Confedertecnica

Inflazione, il carrello della spesa è diventato un bene di lusso per pochi

L’ISTAT ha suonato la campana a morto per i bilanci familiari: a luglio, i prezzi del cosiddetto “carrello della spesa” sono aumentati del 3,4% su base annua, in accelerazione rispetto al mese precedente. Questo dato, apparentemente freddo, si traduce in una realtà brutale per milioni di italiani: fare la spesa costa sempre di più, e riempire il frigorifero è diventato un lusso. Mentre l’inflazione generale si mantiene stabile, sono proprio i beni alimentari e di prima necessità a trainare i rincari, colpendo in modo sproporzionato le fasce più deboli della popolazione.

Le associazioni dei consumatori calcolano che questa stangata si tradurrà in una spesa aggiuntiva di centinaia di euro all’anno per famiglia. Il governo, da parte sua, continua a celebrare i dati macroeconomici positivi, parlando di crescita e stabilità. Ma c’è una distanza siderale tra le statistiche del PIL e la vita reale delle persone che faticano a far quadrare i conti. L’inflazione sul cibo non è un dato economico, è un indicatore sociale che segnala una povertà crescente e un ceto medio sempre più in affanno, costretto a scegliere tra pagare le bollette e mettere un piatto decente in tavola.

Fonti: Istat, Federconsumatori, Cittadino.ca

Esplosione in Pennsylvania: il sogno americano va in fumo in un’acciaieria

Lunedì mattina, presso lo stabilimento Clairton Coke Works della U.S. Steel, a sud di Pittsburgh, una serie di violente esplosioni ha squarciato la routine industriale, lasciando dietro di sé una scia di morte e distruzione. Il bilancio è tragico: due operai morti e almeno dieci feriti, di cui alcuni in condizioni critiche. L’incidente, avvenuto in un’area cruciale per la produzione del coke, ha richiesto l’intervento di decine di squadre di emergenza e ha costretto le autorità a diramare un ordine di restare in casa per i residenti nel raggio di un miglio.

Mentre le indagini sono in corso per determinare le cause, questo ennesimo disastro industriale solleva interrogativi inquietanti sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. In un Paese dove la deregolamentazione è vista come un motore per l’economia, incidenti come questo sono la terribile contropartita. La U.S. Steel ha promesso “ogni possibile risorsa e supporto”, ma queste parole suonano vuote di fronte a vite spezzate e famiglie distrutte. L’esplosione di Clairton non è solo un incidente, ma il sintomo di un sistema che troppo spesso mette il profitto davanti alla sicurezza delle persone.

Fonti: CBS Pittsburgh, Rai News

Fincantieri e l’industria della difesa: 20 miliardi di buoni motivi per non volere la pace

In un mondo sempre più instabile, c’è chi brinda. È il caso di Fincantieri, il colosso italiano della cantieristica, che è in gara per accaparrarsi contratti militari per un valore di oltre 20 miliardi di euro. Dalle fregate per la Norvegia ai sottomarini per la Polonia, passando per le commesse in Medio Oriente e Asia, il mercato della difesa è più florido che mai. Le tensioni geopolitiche, le guerre in corso e la corsa al riarmo della NATO sono il terreno fertile su cui prosperano gli affari dell’azienda a partecipazione statale.

L’equazione è tanto semplice quanto cinica: più il mondo è un posto pericoloso, più gli Stati sentono il bisogno di armarsi, e più i bilanci di aziende come Fincantieri si gonfiano. La vendita di navi da guerra, fregate e sottomarini non è solo un business, ma un potente strumento di politica estera, come dimostra la joint venture con la holding della difesa degli Emirati Arabi. Mentre i governi parlano di pace e stabilità, la loro industria pesante lavora alacremente per produrre gli strumenti della guerra. Un paradosso solo apparente: in fondo, la pace non genera dividendi così ricchi.

Fonti: QuiFinanza, Fincantieri.com

ARTE, CULTURA, SPETTACOLO

Cristiano Ronaldo e Georgina Rodriguez: il “sì” che ferma il mondo (o almeno i social)

In una notizia di portata epocale, destinata a rimanere negli annali della storia, Cristiano Ronaldo ha chiesto a Georgina Rodriguez di sposarlo. E lei ha detto sì. L’annuncio è arrivato via Instagram, con una foto dell’immancabile anello di diamanti e una didascalia da brividi: “Sì, voglio. In questa e in tutte le mie vite”. Dopo nove anni di relazione, cinque figli e un trasferimento in Arabia Saudita che ha messo a dura prova le leggi locali sulla convivenza, la coppia più glamour del calcio ha deciso di formalizzare la propria unione.

La notizia ha immediatamente fatto il giro del pianeta, oscurando quisquilie come guerre, crisi economiche e disastri climatici. I media di tutto il mondo si sono lanciati in analisi approfondite sul valore del gioiello, sulla possibile data delle nozze e sulla location, che si preannuncia sfarzosa come un G7. È il trionfo del gossip sulla geopolitica, la dimostrazione che, in fondo, al pubblico interessa più un anello di diamanti che un accordo sui dazi. E forse, in un mondo così complicato, è anche una forma di salvezza.

Fonti: Triunfo, La Nacion, El Tiempo

Il ritorno di Barbara D’Urso: da regina del trash a ballerina per Milly Carlucci

Quando pensavamo di aver visto tutto, ecco il colpo di scena che nessuno si aspettava. Barbara D’Urso, l’ex regina dei pomeriggi Mediaset, epurata e data per dispersa, risorge dalle sue ceneri per sbarcare sulla pista più prestigiosa della televisione italiana: quella di “Ballando con le stelle”. L’annuncio ufficiale, dato da Milly Carlucci con un video ironico, ha confermato mesi di indiscrezioni e segna un passaggio simbolico clamoroso: dal salotto delle “faccine” al prime time del servizio pubblico.

La sua partecipazione è già l’evento televisivo dell’anno. Si prevedono scintille, soprattutto con la giurata Selvaggia Lucarelli, con cui i rapporti non sono mai stati idilliaci. Dopo una trattativa serrata sul cachet, “Carmelita” si mette in gioco in un ruolo inedito, completando una parabola artistica che la vede passare da conduttrice onnipotente a concorrente in cerca di riscatto. È la dimostrazione che in televisione, come nella vita, non è mai finita. E che per un po’ di visibilità, si è disposti a tutto, anche a ballare una bachata in diretta nazionale.

Fonti: Gazzetta.it, Adnkronos, Sky TG24

La faida dei Matia Bazar: a 70 anni suonati, volano ancora stracci tra Cassano e la Ruggiero

Certe ruggini sono più durevoli di un successo discografico. Lo dimostra la faida riesplosa tra gli ex membri dei Matia Bazar. Piero Cassano, fondatore e tastierista della band, ha affidato ai social un lungo e velenoso sfogo contro la storica voce del gruppo, Antonella Ruggiero. L’accusa è di aver raccontato “inesattezze” e “mezze verità” sul passato, di mancare di rispetto ai colleghi (persino a quelli scomparsi, come Giancarlo Golzi e Aldo Stellita) e di sentirsi una “diva, un essere superiore” solo perché dotata di una bella voce.

La miccia è stata un’intervista in cui la Ruggiero ha minimizzato il ruolo dei suoi ex compagni agli esordi. La reazione di Cassano è stata furibonda, un fiume di recriminazioni che svela ferite mai sanate a più di vent’anni dalla separazione artistica. È uno spettacolo malinconico e affascinante al tempo stesso: vedere icone della musica italiana, ormai ultrasettantenni, litigare come adolescenti su fatti di mezzo secolo fa. Dimostra che il tempo non cancella nulla, soprattutto i rancori e i diritti d’autore.

Fonti: Open, Virgilio Notizie, AGI

Il Diavolo veste Prada (e cerca un nuovo assistente): l’annuncio di lavoro di Anna Wintour

Sognate una carriera nella moda? Siete disposti a vendere l’anima al diavolo in cambio di un posto al sole? Allora questa è l’offerta di lavoro che fa per voi. Condé Nast ha pubblicato un annuncio per la posizione di “Executive Assistant” di Anna Wintour, la direttrice globale di Vogue e donna più potente del fashion system. La sede è, ovviamente, il mitico ufficio di New York, e i compiti sono esattamente quelli che vi aspettereste dopo aver visto “Il Diavolo veste Prada”: gestire un’agenda impossibile, coordinare viaggi intercontinentali, anticipare ogni esigenza e, presumibilmente, trovare un manoscritto inedito di Harry Potter.

L’annuncio è diventato immediatamente virale, scatenando il panico e l’eccitazione di migliaia di aspiranti Andy Sachs. Lo stipendio, che varia tra i 60.000 e i 125.000 dollari annui a seconda delle fonti, può sembrare alto, ma è probabilmente una miseria se rapportato al livello di stress e alle richieste disumane del ruolo. La domanda che tutti si pongono non è chi otterrà il lavoro, ma chi avrà il coraggio di candidarsi. Come direbbe Miranda Priestly: “That’s all”.

Fonti: Il Fatto Quotidiano, AGI, Whoopsee.it

La notte di San Lorenzo: l’unica pioggia che tutti sperano di vedere

In un’estate segnata da siccità e incendi, c’è una pioggia che tutti attendono con ansia: quella delle stelle cadenti. Nella notte di San Lorenzo e nei giorni a seguire, lo sciame meteorico delle Perseidi raggiungerà il suo picco, offrendo uno spettacolo celeste di rara bellezza, con fino a 100 meteore visibili ogni ora in condizioni ideali. Nonostante il disturbo della luna piena, astrofisici e appassionati si preparano a passare la notte con il naso all’insù, in cerca di quella scia luminosa a cui affidare un desiderio.

È un rito collettivo che unisce sacro e profano, scienza e superstizione. Un momento di tregua dalle brutture del mondo, in cui ci si concede il lusso di meravigliarsi e di sperare. In tutta Italia si organizzano eventi, osservazioni guidate e notti bianche per godere al meglio del fenomeno. Chissà cosa chiederanno gli italiani quest’anno. Forse la pace nel mondo, forse la fine dell’inflazione, o forse, più realisticamente, solo un po’ di fresco e un governo che non cada prima di Ferragosto. In fondo, anche i desideri si sono adeguati alla crisi.

Fonti: Il Piccolo

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