C’è un eroe silenzioso che la società si rifiuta di celebrare. Un guerriero che, dal suo avamposto tattico (spesso una sedia da gaming impregnata di sudore e Cheetos), combatte una battaglia cruciale per la civiltà: quella contro le foto di donne che osano esistere online. Armato di una connessione a 7 mega e di una convinzione incrollabile nella propria superiorità, egli “ristabilisce l’ordine”.
Il caso “Phica” è solo l’ultimo campo di battaglia di questi crociati. Lì, foto rubate a politiche, professioniste o semplici cittadine vengono “giudicate” e “commentate”. L’atto di rubare l’immagine di una donna dalla sua quotidianità e darla in pasto al branco è, per loro, un atto di giustizia. È la “nuova frontiera della violenza maschile”, ci dicono. Ma chiamarla “violenza” è quasi un complimento, perché implica una qualche forma di forza.
Qui, invece, siamo di fronte al suo esatto contrario: la debolezza che si traveste da potere, la frustrazione che si maschera da opinione. È il ruggito di un leone che, spento il PC, deve chiedere il permesso per usare il bagno. Questi non sono lupi, sono chihuahua che abbaiano furiosamente da dietro un cancello. E la cosa più divertente? Credono davvero di fare paura.