La recente statuizione della Corte d’appello belga contro il Transparency and Consent Framework (TCF) dell’industria pubblicitaria sembra inaugurare una nuova èra per la privacy, ponendo un freno al selvaggio tracciamento degli utenti. Tuttavia, tale verdetto, pur rappresentando un punto di svolta nella diatriba sulla liceità della profilazione commerciale, rischia di essere obnubilato da un paradosso assai più inquietante. Mentre le istituzioni europee si erigono a baluardo dei diritti individuali contro l’invadenza delle corporazioni tecnologiche, esse stesse promuovono con vigore crescente un’architettura di sorveglianza statale capillare e pervasiva, che eclissa per magnitudine e potenziale coercitivo le pratiche, pur deprecabili, del settore privato. Si configura così uno scenario ambiguo, dove la tutela del cittadino diviene il pretesto per l’edificazione di un controllo di prossimità senza precedenti.
Il Fallace Concetto di Consenso nel Tracciamento Digitale
La condanna del TCF, colpevole secondo i giudici di estorcere un consenso fittizio e non informato, svela la fallacia di un sistema basato su banner e pop-up che offrono all’utente una mera illusione di scelta. In questo perverso meccanismo, il “consenso” si trasforma in un obolo da pagare per accedere a contenuti, una transazione coatta che svuota di significato il principio di autodeterminazione informativa sancito dal GDPR. La decisione giudiziaria ne sancisce l’illegalità, asserendo che il consenso così raccolto non può essere né libero né specifico. Eppure, questa epifania giuridica appare tardiva e parziale. Per anni, miliardi di dati personali sono stati mietuti e scambiati in aste pubblicitarie in tempo reale (Real-Time Bidding), alimentando un’economia della sorveglianza predittiva le cui ramificazioni si estendono ben oltre il semplice fastidio di un annuncio mirato. Questo sistema ha nutrito algoritmi capaci di inferire orientamenti politici, condizioni di salute e vulnerabilità personali, erodendo silente ma inesorabile le fondamenta della nostra autonomia decisionale.
L’Ipocrisia Istituzionale e il Tracciamento di Stato
Orbene, è proprio qui che si manifesta la più stridente delle ipocrisie. L’Unione Europea, che oggi sanziona con plausibile severità IAB Europe, è la medesima entità che propugna con fervore l’adozione di un’identità digitale europea (e-ID), passaporti sanitari digitalizzati, e l’implementazione di banche dati biometriche interconnesse. Questi strumenti, ammantati da una retorica di efficienza, sicurezza e innovazione, costituiscono i pilastri di un’infrastruttura di controllo governativo onnicomprensiva. Ogni cittadino viene trasformato in un nodo di una rete centralizzata, un fascicolo digitale costantemente aggiornato e monitorabile. La geolocalizzazione, i dati sanitari, le transazioni finanziarie e le interazioni con la pubblica amministrazione convergono in un unico profilo, offrendo allo Stato una visione olistica e un potere di scrutinio sulla vita dei singoli che nessuna multinazionale tecnologica ha mai posseduto. Il tracciamento, dunque, non scompare: cambia semplicemente padrone, passando dalle mani opache del mercato a quelle, apparentemente più legittime ma potenzialmente più invasive, dell’apparato statale.
Verso un Futuro di Sorveglianza o un Nuovo Umanesimo Digitale: il Bivio del Tracciamento
La vittoria contro il TCF rischia pertanto di tramutarsi in una vittoria di Pirro. Se ci si limita a recidere un tentacolo del mostro della sorveglianza capitalista senza affrontare la minaccia del Leviatano digitale statale, la libertà individuale non ne uscirà rinvigorita, bensì ulteriormente menomata. La questione fondamentale non è se il tracciamento debba essere di matrice privata o pubblica, ma se una società democratica possa tollerare un’architettura di sorveglianza di massa, a prescindere da chi la gestisca. Occorre una sollevazione di coscienze che esiga trasparenza e limiti invalicabili non solo per le aziende, ma soprattutto per i governi. La difesa dei diritti fondamentali non può essere una bandiera da sventolare a corrente alternata. È imperativo interrogarsi criticamente sulla direzione che le agende digitali europee stanno intraprendendo, per evitare che, con la scusa di proteggerci da un Grande Fratello commerciale, finiamo per essere rinchiusi nel panopticon di un Grande Fratello con una bandiera blu stellata, dal quale sarà infinitamente più complesso evadere.

Per approfondimenti:
- Irish Council for Civil Liberties: Analisi sulla sentenza contro il TCF
L’articolo dell’ICCL spiega nel dettaglio come la Corte belga abbia dichiarato illegale il sistema di consenso TCF, sottolineando le violazioni del GDPR legate alla mancanza di trasparenza, sicurezza e basi giuridiche per il tracciamento pubblicitario. Include un’analisi delle implicazioni per Google, Microsoft e altre Big Tech . - IAB Europe: Comunicato ufficiale sul ruolo limitato del TCF
La risposta di IAB Europe alla sentenza, con focus sulla limitazione della responsabilità come “controllore congiunto” solo per la gestione dei TC String. Il testo illustra le modifiche già apportate al framework e le prospettive future per l’industria pubblicitaria . - Didomi: Approfondimento tecnico-giuridico sul caso
Un’analisi equilibrata del provider di CMP (Consent Management Platform), con spiegazioni sulle conseguenze pratiche per editori e marketer. Il blog sfata miti sull’illegalità totale del TCF, distinguendo tra versioni obsolete e aggiornamenti conformi al GDPR . - Autorità belga per la protezione dei dati: Decisione ufficiale
Il comunicato istituzionale dell’APD belga, con timeline del caso e precisazioni sul ruolo di IAB Europe come controllore congiunto per i TC String. Include riferimenti alle violazioni GDPR confermate dalla Corte .