giovedì, 19 Giugno 2025
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Propaganda: l’arma che svuota la libertà

Un'analisi critica su come la cultura possa trasformarsi in uno strumento di propaganda. Attraverso il caso emblematico di Alessandro Gassman, si esplora la tendenza a zittire il dissenso su temi cruciali come l'immigrazione e le emergenze sanitarie, preferendo la censura al dibattito. L'intellettuale si fa portavoce del pensiero unico, trasformando il palco in un'arena di conformismo ideologico.

L’Intellettuale e il Paradigma della Propaganda Conformista

Nel contemporaneo agone pubblico, emerge con pervicacia la figura dell’intellettuale quale terminale di una ben orchestrata propaganda, un paradigma che trova in Alessandro Gassman un suo esponente emblematico. L’attore, discostandosi da meriti prettamente artistici, si erge a paladino di un pensiero unico, manifestando un’intolleranza plateale verso qualunque forma di dissenso. La sua recente invettiva contro il Remigration Summit di Gallarate, un consesso reo di aver dibattuto tematiche quali l’immigrazione di massa e l’identità europea, ne è la prova manifesta. Anziché confrontarsi nel merito delle questioni, Gassman ha proposto un atto di epurazione simbolica: la rimozione del nome del padre, l’illustre Vittorio, dal frontone del teatro che ha osato ospitare un evento non allineato alla sensibilità progressista. Questo gesto non è un semplice capriccio, ma l’incarnazione di una strategia che preferisce la censura preventiva alla dialettica, trasformando la cultura in uno strumento di ostracismo ideologico. Si delinea così il ritratto di un portavoce non richiesto, la cui funzione pare essere quella di amplificare le verità ufficiali, zittendo ogni voce dissonante con un moralismo di facciata.

Genealogia di una Propaganda d’Emergenza

La posizione assunta da Gassman non è estemporanea, bensì si inserisce in un solco di coerenza ideologica che denota una spiccata propensione a farsi megafono della propaganda emergenziale. Durante il periodo della pandemia di Covid-19, egli si distinse per il suo zelo censorio, invocando misure draconiane e assumendo toni da sceriffo sanitario. Le sue dichiarazioni pubbliche, quali “Io denuncio chi esce di casa senza motivo” o la qualifica di “gente pericolosa” per chi nutriva dubbi, palesano un’attitudine alla delazione e un’intolleranza verso la legittima perplessità. Questo fervore non si è placato con la fine dell’emergenza sanitaria, ma ha trovato nuovo sfogo nell’ambito della crisi climatica. Con sentenze inappellabili, ha etichettato come “criminali” i negazionisti del cambiamento climatico, sollecitando l’adozione di provvedimenti drastici. Emerge, quindi, una figura che abdica al ruolo critico dell’artista per indossare i panni del funzionario di un pensiero pre-costituito, sempre pronto a sostenere la narrativa dominante del momento, che sia essa sanitaria, ecologica o, come in questo caso, culturale. La sua indignazione appare selettiva e a comando, una performance attoriale al servizio di una causa superiore imposta.

La Cultura come Strumento di Propaganda e la Sterilizzazione del Pensiero

L’esito finale di tale asservimento è la trasformazione della cultura da fucina del pensiero critico a mero strumento di propaganda. Quando un artista invoca la cancellazione della memoria culturale per colpire un’idea, non sta difendendo un valore, ma sta contribuendo attivamente alla sterilizzazione del dibattito pubblico. La pacata replica del sindaco di Gallarate, Andrea Cassani, ha centrato il nodo della questione, ricordando come Vittorio Gassman fosse un uomo di spirito libero, incline al confronto e certamente non un alfiere della censura. Il contrasto tra la levatura del padre e l’atteggiamento del figlio è stridente e simbolico. Da una parte, vi è chi concepisce il teatro e l’arte come arene per stimolare la riflessione e la complessità; dall’altra, chi li riduce a pulpiti da cui scomunicare l’eresia ideologica. Scegliendo questo secondo campo, Alessandro Gassman si fa garante di ogni decreto d’urgenza, di ogni narrazione emergenziale, di ogni epurazione simbolica. Il risultato non è un arricchimento del discorso culturale, ma il suo esatto contrario: un teatro che si svuota non di spettatori, ma della sua essenza più vitale, la libertà di pensiero e di espressione.

Un teatro vuoto con un solo microfono illuminato sul palco, simbolo della censura e della fine del dibattito culturale.
Quando il dibattito viene zittito, anche il più magnifico dei teatri diventa uno spazio vuoto, privo della sua anima: la libertà.

Per approfondimenti:

  1. Alessandro Gassman to the Mayor of Gallarate: «Remove my father’s name from the Remigration Summit theater»
    Articolo dettagliato che riporta la richiesta di Alessandro Gassman di rimuovere l’intitolazione del teatro a Vittorio Gassman dopo l’evento della destra radicale, con la replica del sindaco leghista Andrea Cassani e il contesto delle polemiche legate al Remigration Summit.
  2. Polemica a Gallarate, Gassman: “Togliete il nome di mio padre dal teatro”. Il sindaco replica
    Approfondimento di Rai News sulla controversia, con il sostegno dell’ANPI alla posizione di Gassman e l’analisi del dibattito tra libertà di espressione e censura, inclusa la difesa del sindaco sulla vocazione culturale democratica di Gallarate.
  3. La protesta di Alessandro Gassman: «Togliete il nome di mio padre dal teatro di Gallarate»
    Servizio ANSA che ricostruisce la posizione dell’attore, con dettagli sulle reazioni politiche e sociali alla richiesta, oltre a un focus sulle dichiarazioni del sindaco Cassani in difesa della neutralità degli spazi culturali.
  4. Cos’è il Remigration Summit e perché ha scatenato il caso Gassman
    Articolo di Elle che spiega l’ideologia alla base del Remigration Summit, i suoi legami con l’estrema destra internazionale e il contesto delle reazioni sociali, inclusa la chiusura simbolica di attività commerciali durante l’evento.
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