L’insostenibile Pretesto e la ritirata strategica sul Green Deal
Il consenso politico che sorreggeva il Green Deal europeo sta vistosamente vacillando, rivelando la sua natura di fragile pretesto. Assitiamo a un’inopinata inversione di marcia da parte dei suoi più ferventi sostenitori. La Germania, un tempo campione dell’austerità climatica, invoca ora una dilazione per il bando dei motori endotermici, calendarizzato per il 2035. La Francia, dal canto suo, perora la causa di una maggiore flessibilità normativa in ambito ambientale, con il palese intento di schermare il proprio apparato industriale dalle rigide direttive. In questo scenario di crescente dissenso, la stessa presidenza della Commissione Europea, guidata da Ursula von der Leyen, tenta di dissimulare la crepa con proposte di emendamenti, finalizzati a concedere alle industrie automobilistiche un respiro più ampio per l’adeguamento. L’Italia, con pragmatismo critico, si allinea a questa visione disincantata: il Presidente del Consiglio Meloni bolla il Green Deal come un inaspettato “dazio interno”, un gravame che si somma alle pressioni commerciali statunitensi, erodendo la competitività continentale. Le imprese europee, strette in una morsa, paventano sanzioni pecuniarie di entità esorbitante, mentre il mercato dei veicoli elettrici, un tempo magnificato, subisce una contrazione drastica. La tanto sbandierata “transizione verde” si tramuta così in un fardello economico e sociale, un’utopia il cui costo è divenuto palesemente insostenibile per il tessuto produttivo del Vecchio Continente.
Il Fallace Pretesto della Sostenibilità e le sue Ripercussioni Economiche
Le promesse di un futuro ecologicamente virtuoso, fulcro narrativo del Green Deal, si sono infrante contro la dura realtà economica, smascherando il pretesto ambientalista. L’architettura del patto verde, concepita per guidare l’Europa verso la neutralità carbonica, si è rivelata un meccanismo che impone un onere sproporzionato sulle spalle delle aziende. La minaccia di multe miliardarie per il mancato rispetto di scadenze e parametri sempre più stringenti genera un clima di incertezza che paralizza gli investimenti a lungo termine. Il crollo della domanda di auto elettriche è l’emblema di questo fallimento: un mercato drogato da incentivi temporanei che, una volta esauriti, mostra tutta la sua intrinseca debolezza, dettata da costi proibitivi per i consumatori e da un’infrastruttura di ricarica ancora largamente insufficiente. Le parole di Giorgia Meloni riecheggiano il sentimento di un intero comparto produttivo che percepisce la transizione ecologica non come un’opportunità, ma come un’imposizione ideologica che avvantaggia competitori esterni, in primis la Cina. Le aspettative disattese hanno trasformato un nobile intento in un pesante gravame, la cui sostenibilità economica è ormai messa apertamente in discussione da governi e imprese.
Dietro il Pretesto: la Fame Energetica dell’Intelligenza Artificiale
Il vero motore che si cela dietro il grande pretesto verde non è alimentato da fonti rinnovabili, bensì da una fame insaziabile di energia. L’intelligenza artificiale, esaltata come panacea tecnologica in ogni consesso istituzionale, è in realtà un colosso energivoro. La sua operatività richiede una quantità di elettricità e risorse idriche che è del tutto antitetica ai principi della sostenibilità. I data center e le infrastrutture di calcolo necessarie per addestrare e mantenere gli algoritmi di IA dipendono in larga misura da fonti fossili, le uniche in grado di garantire la stabilità e la continuità energetica richieste. L’idea che il fotovoltaico o l’eolico possano sostenere da soli questa nuova, imponente infrastruttura digitale è una favola priva di fondamento tecnico. Si palesa così la finalità recondita del Green Deal: non la salvaguardia del pianeta, ma la preparazione del terreno per un nuovo paradigma tecno-bellico. Un’infrastruttura basata su server pervasivi, droni autonomi, sistemi di sorveglianza capillare e armamenti “intelligenti”, la cui voracità energetica rende la transizione verde una semplice cortina fumogena.
Dal Green Deal al RearmEU: il Vero Fine del Pretesto
La maschera è caduta, svelando una gigantesca operazione di malversazione di intenti e risorse. I miliardi di euro raccolti in nome della causa ambientale, veicolati attraverso fondi opachi e incentivi distorti, non sono serviti a decarbonizzare l’economia, ma a costituire un tesoro da reinvestire altrove. Ora che la coperta si è rivelata inesorabilmente corta, il pretesto ecologico viene accantonato senza troppi complimenti per finanziare la nuova priorità strategica dell’Unione: il “RearmEU” e la fortificazione delle sue frontiere. I fondi green, svuotati dalle pressioni delle lobby industriali e finanziarie, vengono ora dirottati verso l’industria della difesa e della sicurezza. Assistiamo a una traslazione di capitali da progetti di sostenibilità a programmi per lo sviluppo di armamenti avanzati, per il potenziamento della sorveglianza digitale e per il controllo dei flussi migratori. Il Green Deal, dunque, si configura come la più grande e riuscita operazione di facciata della storia recente europea: un meccanismo per raccogliere consenso e capitali sotto la bandiera nobile dell’ambientalismo, per poi destinarli a un’agenda di potere, controllo e militarizzazione.

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