giovedì, 19 Giugno 2025
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SeaCURE: l’inganno del greenwashing marino

Il progetto SeaCURE, finanziato dal Regno Unito, mira a estrarre CO₂ dall'oceano. Tuttavia, le critiche lo etichettano come un'operazione di greenwashing: costoso, inefficiente e potenzialmente dannoso per gli ecosistemi marini a causa dell'alterazione del pH. Un paradosso tecnologico che ignora le vere cause del cambiamento climatico e i suoi effetti, come il rilascio di CO₂ da mari più caldi.

Il Miraggio Tecnologico e il Pericolo del Greenwashing Oceanico

Nel panorama delle strategie per la mitigazione del cambiamento climatico, emerge con prepotenza il progetto britannico SeaCURE, un’iniziativa che solleva interrogativi sostanziali sulla sua efficacia e sulle sue reali finalità, profilandosi come un potenziale, emblematico caso di greenwashing. Finanziato con un cospicuo stanziamento di tre milioni di sterline dal governo del Regno Unito, questo programma si prefigge di estrarre anidride carbonica direttamente dalle acque marine. Il meccanismo proposto è seducente nella sua apparente semplicità: aspirare ingenti volumi di acqua oceanica, separare la CO₂ disciolta e, infine, reimmettere l’acqua “decarbonizzata” in mare, affinché possa riprendere il suo ciclo di assorbimento. Tuttavia, dietro questa facciata di innovazione tecnologica si celano perplessità e incongruenze che ne minano la credibilità, suggerendo una manovra più mediatica che risolutiva.

Le Ambizioni Smodate del Progetto e il Sospetto di Greenwashing

Attualmente operativo lungo le coste di Weymouth, nell’Inghilterra meridionale, l’impianto pilota di SeaCURE gestisce un volume annuo di circa 68,5 milioni di litri d’acqua. La quantità di anidride carbonica rimossa attraverso questo processo è, al momento, irrisoria, inferiore persino all’impronta carbonica generata da un singolo volo aereo transatlantico. Nonostante questa esigua performance iniziale, le proiezioni future del progetto sono a dir poco iperboliche. I promotori, tra cui figurano il Plymouth Marine Laboratory e l’Università di Exeter, sostengono che, qualora la tecnologia fosse scalata per trattare appena l’1% delle acque oceaniche superficiali, si potrebbero sequestrare fino a 14 miliardi di tonnellate di CO₂ ogni anno. Tale obiettivo, tuttavia, è subordinato a una condizione imprescindibile e complessa: l’intero, energivoro processo dovrebbe essere alimentato esclusivamente da fonti di energia rinnovabile per non vanificare il bilancio carbonico. Questa discrepanza tra la realtà operativa e le magnifiche sorti e progressive evocate alimenta il fondato sospetto che si tratti di un’operazione di greenwashing, volta a proiettare un’immagine di impegno ambientale senza un’effettiva consistenza pratica.

Il Paradosso Climatico: Un Greenwashing che Ignora la Realtà

Un elemento di macroscopica dissonanza emerge quando si confronta la missione di SeaCURE con altri fenomeni ambientali contemporanei, talvolta riportati dalle medesime fonti mediatiche che ne celebrano acriticamente l’esistenza, come la BBC. Mentre il progetto si sforza di sottrarre CO₂ dagli oceani, i mari che circondano le isole britanniche sono afflitti da ondate di calore marino sempre più intense e frequenti. È un dato scientifico assodato che l’aumento della temperatura dell’acqua ne riduca la capacità di trattenere i gas disciolti, incluso il biossido di carbonio, provocandone anzi il rilascio in atmosfera. Si configura così un paradosso stridente: da un lato, una tecnologia costosa tenta di estrarre CO₂; dall’altro, il riscaldamento globale, che tale tecnologia dovrebbe combattere, opera in direzione diametralmente opposta sullo stesso elemento naturale. L’assenza di un dibattito pubblico su questa contraddizione è sintomatica di una narrazione superficiale, tipica delle iniziative di greenwashing.

L’Incalcolabile Rischio Ecologico dietro il Velo del Greenwashing

Al di là dei dubbi sulla sua efficacia, il progetto SeaCURE introduce un’incognita di non trascurabile entità: l’impatto ecologico diretto. Il processo di estrazione della CO₂ si basa su una manipolazione della chimica dell’acqua di mare, in particolare sull’alterazione del suo pH. Una volta trattata, l’acqua viene restituita all’ambiente marino con caratteristiche chimico-fisiche modificate. I fautori del progetto tendono a minimizzare le possibili conseguenze, trincerandosi dietro un ottimismo tecnocratico. Ciononostante, è impossibile prevedere con certezza gli effetti a lungo termine di tali sversamenti sugli equilibri biochimici di ecosistemi marini già estremamente vulnerabili, provati dall’inquinamento, dalla pesca intensiva e dagli stessi effetti del cambiamento climatico. Alterare deliberatamente un parametro fondamentale come il pH potrebbe innescare reazioni a catena impreviste, danneggiando la flora e la fauna locali e compromettendo la delicata catena trofica. Questo rischio, colpevolmente sottostimato, aggiunge un ulteriore, pesante strato di criticità a un’operazione che palesa sempre più i contorni del greenwashing.

Giudizi Critici: Quando il Greenwashing Diventa Progetto Istituzionale

Secondo diverse analisi critiche, come quelle veicolate da The Exposé, SeaCURE rappresenta il paradigma del greenwashing istituzionale. Si tratta di un’iniziativa dispendiosa, dall’alto potenziale mediatico e spettacolare, ma fondamentalmente inefficace se rapportata alla scala globale del problema che pretende di affrontare. Intervenire con pompe, filtri e processi chimici su un sistema complesso e autopoietico come il ciclo del carbonio planetario, che opera su scale temporali millenarie, è un atto di hybris tecnologica. Anziché concentrare risorse e ingegno sulla riduzione delle emissioni alla fonte – l’unica strategia risolutiva – si investe denaro pubblico in palliativi tecnologici che rischiano di generare più danni di quanti ne risolvano, distogliendo l’attenzione dalle vere responsabilità politiche e industriali. Il progetto, in ultima analisi, appare come un tentativo di applicare una soluzione ingegneristica a un problema sistemico, una cortina fumogena per placare le coscienze senza intaccare lo status quo.

Rappresentazione artistica dell'impatto ecologico di SeaCURE, con una parte di oceano sano e una parte alterata e senza vita a causa del cambiamento di pH.
L’alterazione del pH marino, una delle conseguenze del processo SeaCURE, minaccia la vita degli ecosistemi oceanici.

Per approfondimenti:

  1. BBC News: UK project to remove CO2 from the ocean
    Articolo della BBC che descrive il progetto SeaCURE, con dettagli sul funzionamento e gli obiettivi, sebbene con un approccio poco critico.

  1. Plymouth Marine Laboratory: SeaCURE project
    Pagina ufficiale del Plymouth Marine Laboratory, partner del progetto, che illustra la tecnologia e la collaborazione con l’Università di Exeter.

  1. The Exposé: SeaCURE, a costly and ineffective solution?
    Analisi critica del progetto SeaCURE da parte di The Exposé, che solleva dubbi sull’efficacia e sul potenziale greenwashing.

  1. SeaCURE Official Website: Who we are
    Sito ufficiale del progetto SeaCURE, con informazioni sulla missione, la tecnologia e i finanziamenti.
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